logo

The Real Power Of Intangible ~ La Coscienza Ancestrale

real-power

THE REAL POWER OF INTANGIBLE, suite etnografica, libro illustrato, e 150 minuti di film documentario per evocare la spiritualità universale, il misticismo e l’avventura in luoghi geomantici del globo.
Riti ancestrali, astroarcheologia ed immagini che suggeriscono una verità diversa, la ricerca interiore custodita da migliaia di anni dai popoli originari, gente che considera la potenza intrinseca di ogni pietra, animale , pianta, forma o minerale sul pianeta.
Antichi simboli, reperti e prove scientifiche innalzano la spiritualità e la reale capacità dell’essere umano in rapporto al mondo immateriale

La conoscenza ancestrale dal Tibet alle Ande

Nel suo primo viaggio in sudamerica, il XlV Dalai Lama e il suo astrologo personale Lama Lodro incontrarono sciamani andini di Peru e Bolivia, antichi racconti degli anziani sciamani tibetani riferivano di guaritori di un lontano luogo nascosto tra alte montagne del continente Sudamericano, un luogo energetico simile alla loro terra, parlavano di potenti detentori del sapere e di una cultura spirituale analoga al Bon ( religione pre-buddista del Tibet). Grazie ai traduttori, il Dalai Lama e i guaritori indigeni discendenti del popolo inca, ebbero una lunga conversazione ed scambio di doni e amuleti, in quella occasione il Dalai Lama affermo:

dalai_lama-kallawaya

“Tutti abbiamo in comune il massimo insegnamento che resiede nella divinità suprema del cielo visibile, e li dove splendono le forme degli esseri perfetti, le misteriose 28 guide, l’entità delle costellazioni. L’universo puo essere interpretato solo da coloro che vivono in armonia con il creato, meditano, lo ascoltano e riescono a percepire e attivare le forze amiche e ostili della natura.”

Ritrovamento di oggetti taino in osso e argilla

Oggetti dell cultura Taino, intagliati in osso di balena e lamantino. Realizzati in legno di huallacán, ceramica e pietra, sono stati utilizzati nei loro rituali e come offerte per le guarigioni, rappresentano il oro Dei.

taino

Ritualamulets sostiene e promuove l’importanza della conoscenza indigena e le sue manifestazioni spirituali, culturali ed artistiche come forma di pluriculturalità, di ritorno all’essenza e valorizzazione della nostra vera identità umana. Sono le popolazioni indigene che detengono la maggiore conoscenza sulla rispettosa relazione fra uomo, cosmo e natura.
Dagli ultimi duemila anni la filosofia e la scienza cercano di dare una spiegazione radicale e ultima della natura dell’ essere umano e di ogni tipo di conoscenza possibile all’interno dell’astrazione intellettuale, mantenendo le distanze dalla realtà empirica e ancestrale dei nativi.

La Cosmovisione Indigena evoca il forte legame che accomuna tutte le persone e abbraccia le più antiche tradizioni originarie.

Conoscenza indigena

humanplanet2amazon_indian_music3

Riconnettersi con la conoscenza indigena è essenziale per un pianeta umano e rinnovato. La cultura nativa ci insegna cos’è ecologicamente sostenibile, socialmente giusto, spiritualmente appagante e la costruzione di una comunità umana che abbraccia il suo patrimonio ancestrale.

Il Re degli amuleti nel Himalaya

tibet2 La scelta dell’agata come amuleto non è casuale: le pietre, come i metalli, sono conduttori energetici e l’agata da tempi immemorabili viene considerata una pietra che irradia energia positiva, per tale ragione è adatta a diventare un buon supporto fisico/materiale a cui associare la simbologia mistica. Formati da un unico segmento tubolare con specifici motivi simbolici, i primi esemplari Dzi comparsi nelle cronache sono stati introdotti in Tibet dai guerrieri provenienti dalla Persia. Rappresentavano l’estrema abilità d’incisione degli artigiani persiani, derivante da tecniche ormai andate perdute e difficilmente imitabili.. La vera origine di questa pietra è sconosciuta. Storie tramandate da generazioni raccontano di meteoriti frantumate ritrovate oltre 4000 mila anni fa in Tibet, Bhutan, Ladhak e Sikkim prima di diffondersi in tutta l’area himalayana e dell’Asia centrale.Gli Dzi possono essere anche agate naturali che presentano forme e motivi non incisi che rientrano nella simbologia sacra tibetana, in questi casi il loro valore è molto elevato. Dopo l’esilio del Dalai Lama i primi tibetani che partirono per gli Stati Uniti usarono gli Dzi per pagare l’ospitalità o i servizi ricevuti, data la mancanza di denaro. Acune di queste pietre sono state conservate nel Metropolitan Museum of Art di New York. Nella cultura tibetana le “Dzi” sono ritenute una benedizione, un simbolo di grande prestigio sociale e un amuleto molto potente: non solo vengono indossate come pendenti o in bracciali proprio a protezione della persona, ma nell’antica e più tradizionale medicina tibetana le “Dzi” venivano frantumate e la polvere utilizzata come unguento o diluita in particolari bevande curative. Ancora oggi si possono trovare esemplari di “Dzi” scheggiate o rotte, sono quelle a cui è stata tolta una parte per essere utilizzata come medicinale. Adottate anche dalla cultura cinese, le “Dzi” hanno assunto il nome di “pietre del paradiso”, poiché la traduzione esatta rimanderebbe ad un insieme di “purezza, splendore, chiarore e luminosità”.

Dzi bead – La pietra agata

dzi_vip
Il significato della parola tibetana “Dzi” si traduce con “Shine, la luminosità, chiarezza, splendore.” In cinese è denominata “perla del cielo”. ll numero di “occhi” sulla pietra è considerato significativo; riguardano i punti circolari progettati sul granello. A seconda del loro numero e disposizione, rappresentano significati diversi. Dodici è il maggior numero di occhi su un antico Dzi. Qualsiasi agata con più di dodici occhi è da considerarsi non tradizionale né autentica. Le varie storie o spiegazioni che accompagnano i presunti benefici degli Dzi con oltre tredici occhi sono da ritenersi false poiché fanno parte dell’attuale strategia lucrativa attorno a queste pietre sacre. Lo Dzi può apparire in diversi colori, forme e dimensioni, la superficie è generalmente liscia e cerosa, a causa dell’uso per lunghi periodi di tempo. Alcuni punti di colore negli Dzi vengono indicati come “macchie di sangue”, si tratta di piccoli punti rossi nelle aree bianche, indicano un alta concentrazione di cinabro. Questo dettaglio è altamente auspicabile, ma relativamente raro. Un altro effetto desiderabile è il cosiddetto ” pelle Naga” che si riferisce a piccoli segni circolari atmosferici sulla superficie della pietra che assomigliano a scale. Alcune perle Dzi sono semplicemente agate lucidate usando sostanze naturali che non possiedo particolari decorazioni. Le pietre Dzi iniziarono con la tradizione del Bon, antica religione animista del Tibet, circa 4000 anni fa, tuttavia fecero la loro prima apparizione storica tra il 2000 e il 1000 a.c., nell’antica India: poche centinaia di migliaia sarebbero state riportate dai guerrieri tibetani dalla Persia o antico Tagikistan a termine di una sanguinosa battaglia. La diffusa paura del “malocchio” come rappresaglia dei vinti è stata presa sul serio, così coloro chi possedevano i talismani Dzi, creati con “occhi” sulla superficie potevano ottenere una potente forma di protezione spirituale contro i nemici definita: “fuoco che lotta contro il fuoco”. I primi Dzi bead erano piccoli meteoriti in forma tubolare, altri in calcedonio entrambi di formazione naturale essi furono trovati sulle cime dell’Himalaya da religiosi, precettori spirituali o sciamani. Osservando le grandi proprietà mistiche di questi oggetti i creatori originali considerarono l’ agata come la pietra di base per le future elaborazioni di efficaci amuleti. Le forme, occhi e linee, sono state aggiunte posteriormente con metodi antichi che non sono ancora del tutto chiari; si crede che l’ annerimento e alcune linee degli Dzi emergano con zuccheri vegetali, fonti di calore, grasso, argilla, cera, o simili sostanze. Dopo che il colore, la forma e la decorazione dell’ agata è stata raggiunta i realizzatori avrebbero eseguito il foro, un lavoro arduo in tempi antichi poiché doveva essere introdotto in fili sottili. La morbidezza e l’assenza di crepe nelle pietre implicano che i processi di riscaldamento e di sbiancatura si è svolto ad alta quota (altitudini himalayane) o in una sorta di antica e rudimentaria camera a vuoto con elaborazioni artigianali sofisticate e di altissima precisione. Sebbene l’origine geografica dei Dzi beads è incerta, si ammette che nella attualità sono definite “perle tibetane,” proprio come “il corallo tibetano “, arrivati in Tibet da luoghi lontani. I Tibetani amano questi oggetti e li considerano gemme ereditarie. Grazie alla loro affascinante storia “le pietre cadute dal cielo” sono sopravvissute per molti secoli, da generazione in generazione vengono indossate da miglia di credenti, persone singole delle popolazioni rurali del Tibet, Bhutan, Nepal, Ladakh, Sikkim e Mongolia. Alcuni Dzi vengono ancora trovati dai contadini e pastori durante la corta estate, quando si scioglie il giaccio sulle cuspidi più alte del mondo; sono agate che furono indossate usando fili vegetali deboli poiché troppo piccole per essere inserite su lacci di cuoio più resistenti. Amuleti perse nel tempo dai viaggiatori o dalle carovane rimasti in attesa di un nuovo proprietario da proteggere. Dal momento che la conoscenza della pietra Dzi è derivata dalla tradizione orale, le perle di Shangri-Lha hanno provocato polemiche sulla loro origine, il loro metodo di fabbricazione e anche la loro precisa definizione. La cultura tibetana continua a ritenere che questa agata leggendaria richiami la protezione dei dharmapala, le guardie ultraterrene, gli esseri illuminati “Chos Skyong “, le divinità dell’ ambiente, gli antenati, i bodhisattva e i demoni che giurarono di proteggere i credenti buddisti e animisti del Bon.

TRAPA NATANS – SEMI AMULETO

TRAPANATASColtivata in Cina e in India, da almeno 3.000 anni questa pianta acquatica è nota anche ai Tibetani. Arrivò in Italia ed Europa dall’ Asia in epoca medievale, cresce spontanea nelle zone palustri. Dal lontano passato è conosciuta anche per il suo impiego alimentare; recentemente sono stati trovati fossili dei suoi frutti già conosciuti ed utilizzati come alimento dagli uomini del Neolitico. In estate ogni fiore diventa un frutto che possiede un unico e grande seme carnoso; il suo corpo legnoso contiene amido. Il nome latino “Trapa Natans” si riferisce ad un dispositivo di ferro a spillo con quattro fronti che gli antichi soldati romani gettavano nei sentieri dei cavalli per ferirne le zampe. Conosciuta in India con il nome di Sanghara, questa pianta ha proprietà farmacologiche; è molto usata nella medicina ayurvedica. La particolare forma del frutto secco gli conferisce un richiamo misterioso per gli amanti dell’ occulto e della magia. In Cina la sua forma e le sue caratteristiche sono considerate di buon auspicio. Il pipistrello è un animale fortunato, poiché il nome “Bat” (Fu) suona proprio come la parola per “felicità” (Fuu), pertanto il popolo della Cina conosce la trapa natans come Ling Nut; ed è considerato un cibo fortunato da mangiare.
Usato come amuleto in bracciali e pendenti, in Europa ed Asia si trovano alcuni rari mala (rosari) di preghiera realizzati con questo particolare castagno d’acqua.
Per la sua forma bizzarra, nel Vecchio Continente gli hanno conferito un utilizzo sacro come offerta spirituale. E’ possibile ritrovare questa rarità del mondo vegetale sugli altari di alcune strane divinità. Anche se questa pianta non è originaria dell’Africa, Europa o Sud America, la si può rintracciare nei rituali di sciamani e guaritori dediti ai culti animisti o pagani come Eshu-Ellegua-Legba dell’Africa occidentale, Ade-Plutone nei paesi dell’ antico Mediterraneo e nelle cerimonie religiose del Guatemala, Nepal, India. Riscontra buoni risultati nella cura contro le febbri frequenti, le bronchiti, l’astenia, la dispepsia; in genere è impiegata come tonico rivitalizzante per l’organismo. A seconda del modo in cui la si osserva, questa stranezza botanica, scolpita naturalmente, sembra una figura diabolica, due corna di capra, un pipistrello in volo! L’illusione di un volto malvagio appare su entrambi i lati del baccello e le due facce di solito sono molto diverse fra loro. Ricercate con trepidazione dai Tibetani nei laghi nord orientali del Qingai Tibet, ne esistono di tre specie: Trapa Bicornis, Trapa Natans e Trapa Incisa. Fiorisce una volta all’ anno e si può trovare nei campi e nelle arene, soprattutto marittime, in Italia e nelle isole mediterranee, diffusa nell’Europa meridionale, nell’Asia occidentale fino alle zone forestali dell’ Himalaya. Presente in nord Africa e naturalizzato nelle Americhe, Il seme amuleto Trapa Natans si trova persino in Australia.

THENG NGNA’ AMULETI DEL TIBET part. 1

buddhist3Da millenni le culture rurali del Tibet, Nepal, Bhutan e Mongolia, hanno conferito ai bracciali Theng Ngna’ e ad ogni elemento che li forma una precisa interpretazione piena di significati mistici. Essi sono simboli di rispetto e di venerazione , utilizzati dai monaci, sciamani, animisti, popolazioni rurali e tribù nomadi nelle regioni remote del Himalaya . Secondo attenti studiosi dell’antica iconografia tibetana  come Nebesky – Wojkowitz, scrittori sull’origine ancestrale delle divinità protettrici, le conoscenze di questi amuleti vengono trasmessi oralmente nella regione nordica dell’Amdo, in Thang- Lha ( Byang Thang ), ai piedi del Sacro Monte Yar – Lha – Sham – Po. Ci sono poche informazioni disponibili al di fuori di questo contesto, non ci sono dati e nomi precisati nella mitologia tibetana. Molte informazioni sono scomparse nel corso del tempo, questo ci fa vedere come il riferimento popolare sia l’unica testimonianza, sui riti e le tradizioni riguardanti gli dèi delle quattro montagne. Si dice che il Dio Yar – Lha – Sham – Po ( divinità pre-buddista per la tribù nomade dei Yar e per il resto della popolazione tibetana ), aveva dato ad un saggio guaritore Bon-po, il compito di creare un potente amuleto che contenesse elementi di luce, pietre sacre della montagna, tre metalli,  i gioielli Dzi caduti dal cielo, piante con molteplici proprietà benefiche, ed elementi contenenti i  tre colori principali fuse in luce bianca. L’ amuleto doveva essere in grado di scaturire dal cuore della gente l’energia celeste e le virtù spirituali. Blue lapis= Volontà, Giallo ambra= Saggezza, Rosso corallo= Azione. Per la popolazione dell’Himalaya i metalli e le pietre hanno differenti caratteristiche per quanto riguarda l’irradiazione di energia. Secondo il mito, il Dio Yar-Lha-Sham Po, ha straordinari poteri magici, cavalca uno yak bianco. Dalla bocca e dalle narici del possente animale escono lampi e tuoni che danno origine alle valanghe di neve. Questa divinità della montagna può distruggere le grandi rocce dei precipizi, si trasforma in un uomo bianco che suscita sensuale passione nelle donne e ragazze dei villaggi. Nella storiologia tibetana il Dio Yar-Lha-Sham Po è chiamato la divinità nobile, egli rappresenta il potere della famiglia reale. Prima del Buddismo, i membri della nobiltà adoravano le divinità del Bon; queste famiglie usavano antenati di pietra, simboli e amuleti protettori Theng Ngnà. Per molto tempo sono rimasti fedeli a questi particolari amuleti che possedevano anche una componente segreta. Nella mitologia tibetana le immagini divine degli amuleti si identificano con elementi religiosi, piuttosto che sulla stessa montagna (considerata divinità). Gli dei del pantheon tibetano sono impregnati dell’energia animista e del misticismo buddista, rappresentati nelle rocce, animali, antenati, dipinti, simboli e amuleti.

bracelet_tibetanConsacrazione dell’amuleto

THENG NGNA’ AMULETI DEL TIBET part.2

amulets3 (2)Antichi testi sacri come il Sutra dell’Onnipresenza fanno riferimento a “cinque occhi velenosi del male” i cattivi pensieri e le trappole della gelosia.  Il Sutra asserisce che la strategia “dell’ occhio per occhio” e  la vendetta, sarebbero le  cause che avrebbero creato il cattivo Karma. Si ritiene che oggetti come le agate Dzi e collane realizzate con turchesi, corallo, ambra etc. adornavano le più importanti e riverite statue. La cosmologia e gli insegnamenti buddisti sull’anima spiegano che essa è la sostanza spirituale umana, superiore, eterna ed immutabile, identica al nostro “Io”. L’anima decreta l’agire della natura; la stessa natura e i suoi elementi offrono forza e protezione. Gli sciamani himalayani affermano che la natura possiede una coscienza ed un’attività propria, forme ed energie esistenti nell’universo. I componenti del Theng ngna’ sono inintelligenti e non possono avere volontà propria, pertanto, vi deve essere una causa che li risvegli, che li attivi, facendone innescare il potenziale insito in ogni pietra o metallo. L’atto di questa causa è l’intenzione di chi gli ha donato forma, la vibrazione sonora delle sue preghiere nell’ambiente geografico. La causa che da origine all’energia dell’ oggetto riguarda l’interazione fra anima e natura, fra creatore dell’oggetto e chi lo indossa. Con la sua simbologia, l’amuleto ci ricorda la strada che vogliamo seguire, quello che desideriamo che accada nella nostra vita; ci stimola a perseverare nel conseguire il nostro obiettivo. Indossarlo ci porta ad essere continuamente consapevoli, a rimanere concentrati. Dare attenzione e sforzarsi per i propri obbiettivi significa raggiungerli. E’ necessario precisare che gli amuleti hanno l’importanza che ogni persona gli conferisce; se non si interiorizza il loro profondo significato in relazione al proprio essere, è meglio non indossarlo. In altri luoghi dell’ Asia Centrale, bramani, buddisti ed induisti credono che possedere questi particolari talismani attiri le energie positive e amplifichi il bene già esistente. Tramandati da generazioni come una preziosa eredità culturale e spirituale i Theng Ngna’ sono amuleti realizzati a mano, unici e personali volti a preservare i suoi detentori da pericoli, dolori, malvagità e rischi causati da spiriti maligni. Secondo i precettori religiosi dell’antica arte legata alla tutela invisibile, rappresentano un simbolo porta fortuna che protegge chi lo possiede dalle malattie e da altre forze oscure considerate pericolose. Per molto tempo le informazioni riguardo agli affascinanti oggetti sono rimasti un privilegio di pochi saggi e conoscitori delle pratiche ritualiche legate al Bon, l’ancestrale dottrina che convergeva con altri metodi e conoscenze mistiche nelle zone recondite del Qinghai, storica terra dell’Amdo.

bracelet2

Dilgo Khyentse Rinpoche and Dalai Lama – The ancient Theng Ngna’ part.3

dilgo_dalai_lama Dilgo Khyense Rimpoche (maestro del XIV Dalai Lama) era un estimatore di oggetti e antiche rarità legate alla ricerca spirituale; rimase 12 anni in studio e meditazione  in una isolata caverna tra le montagne del Tibet. Indossò sempre durante la sua esistenza amuleti, unitamente agli Dzi Beads, Gau, bracciali e altre reliquie risalenti ai tempi del Buddha storico e altri maestri secolari. Gyalse Trulke, lama del Satsam Chorten (Paro, Bhutan) sostiene che gli amuleti come i tanka, mandala e rappresentazioni simboliche realizzati da uomini e donne di salda fede, aiutano ad illuminare gli esseri viventi; essi vengono percepiti attraverso i nostri cinque sensi di luce e riescono a liberare e proteggere le persone. Oggi i Theng Ngna’ sono quasi sconosciuti agli stessi tibetani. Il loro vero significato è stato annientato dalle tante sofferenze inflitte al popolo dalla violenta deculturizzazione imposta dal governo cinese. Insieme ad antiche cerimonie e rituali ultraterreni questi leggendari amuleti cercano di sopravvivere all’ insidioso modernismo d’importazione occidentale facendo perdere le loro tracce. Nascondono le proprie sembianze nelle definizioni delle varie lingue, dialetti e misteri che coesistono nella impervia e maestosa geografia; Theng Ngna, Ga’u, Chos skyong sgrog gdung, Lackpa taya, Norbu dzi o Thog chags, sono alcuni fra i tanti nomi. Nel 1959 dopo l’invasione comunista, il Dalai Lama fuggì dal Tibet. Gli anziani Lama e funzionari che lo accompagnarono in esilio presero con loro gioielli molto preziosi. Coralli, lapislazzuli, ambra e turchesi formavano, insieme ai Mala, i diversi braccialetti usati come amuleti; alcuni monaci portarono le misteriose pietre di agata Dzi.

foto3