La scelta dell’agata come amuleto non è casuale: le pietre, come i metalli, sono conduttori energetici e l’agata da tempi immemorabili viene considerata una pietra che irradia energia positiva, per tale ragione è adatta a diventare un buon supporto fisico/materiale a cui associare la simbologia mistica. Formati da un unico segmento tubolare con specifici motivi simbolici, i primi esemplari Dzi comparsi nelle cronache sono stati introdotti in Tibet dai guerrieri provenienti dalla Persia. Rappresentavano l’estrema abilità d’incisione degli artigiani persiani, derivante da tecniche ormai andate perdute e difficilmente imitabili.. La vera origine di questa pietra è sconosciuta. Storie tramandate da generazioni raccontano di meteoriti frantumate ritrovate oltre 4000 mila anni fa in Tibet, Bhutan, Ladhak e Sikkim prima di diffondersi in tutta l’area himalayana e dell’Asia centrale.Gli Dzi possono essere anche agate naturali che presentano forme e motivi non incisi che rientrano nella simbologia sacra tibetana, in questi casi il loro valore è molto elevato. Dopo l’esilio del Dalai Lama i primi tibetani che partirono per gli Stati Uniti usarono gli Dzi per pagare l’ospitalità o i servizi ricevuti, data la mancanza di denaro. Acune di queste pietre sono state conservate nel Metropolitan Museum of Art di New York. Nella cultura tibetana le “Dzi” sono ritenute una benedizione, un simbolo di grande prestigio sociale e un amuleto molto potente: non solo vengono indossate come pendenti o in bracciali proprio a protezione della persona, ma nell’antica e più tradizionale medicina tibetana le “Dzi” venivano frantumate e la polvere utilizzata come unguento o diluita in particolari bevande curative. Ancora oggi si possono trovare esemplari di “Dzi” scheggiate o rotte, sono quelle a cui è stata tolta una parte per essere utilizzata come medicinale. Adottate anche dalla cultura cinese, le “Dzi” hanno assunto il nome di “pietre del paradiso”, poiché la traduzione esatta rimanderebbe ad un insieme di “purezza, splendore, chiarore e luminosità”.
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